Il Palazzo Farnese di Gradoli

Gli Affreschi del Piano Nobile


 

di Giuseppe Moscatelli

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Il Salone Ducale

  Gli affreschi che decorano il Palazzo Farnese di Gradoli sono tutt'oggi assai poco conosciuti e studiati. Confidiamo quindi che questo lavoro invogli i nostri lettori a visitarli e, soprattutto, costituisca per i più attenti e interessati uno stimolo per l'approfondimento e la ricerca personali, al fine di fornire un contributo originale alla loro conoscenza.
 
Rinviando allo specifico articolo per quanto riguarda l'architettura e la storia del palazzo, ricordiamo che le sale affrescate sono quattro: due al piano nobile e due al secondo piano. Al primo piano troviamo il grande "Salone Ducale", attualmente adibito ad aula consiliare del Comune di Gradoli; e la "Sala centrale", attualmente adibita ad uffici di segreteria.
Al secondo piano abbiamo il "Loggione" o "Sala dei Filosofi" e la corrispondente "Sala centrale", originariamente adibita a sala d'udienza: entrambi gli ambienti sono oggi occupati dal Museo del Costume Farnesiano, del quale pure trattiamo a parte.
Gli affreschi hanno seguito o, per meglio dire, "subito" le secolari vicende del palazzo: dai fasti farnesiani alla decadenza delle epoche successive; dalla pruderie dei Padri Filippini, che arrivarono a raschiare le immagini ritenute sconvenienti, all'oltraggio delle soldataglie francesi che  si accamparono nel palazzo. Dallo sfarzo delle origini all'incuria di tempi non lontani, quando, nel salone nobile adibito a palestra, si giocava a pallacanestro "ricevendone sorprendentemente ben pochi danni", come ha annotato un viaggiatore e cronista inglese

Gli affreschi del palazzo presentano una peculiarità di carattere storico che li rende oltremodo interessanti, anche volendo prescindere dal loro valore artistico: rappresentano infatti la più antica committenza farnesiana per decorazione pittorica che ci sia pervenuta. Non solo,  costituiscono anche il primo esempio di pittura a grottesche nel nostro territorio. Il card. Alessandro Farnese,  futuro papa Paolo III, che edificò il palazzo, volle infatti importare per la sua residenza "di campagna" stili e decori pittorici  allora alla moda e in gran voga nella Capitale.La pittura a "grottesche" deriva il suo nome dalle "grotte" di Nerone, vale a dire dagli ambienti sotterranei della "Domus Aurea" - recentemente restaurati e riaperti al pubblico- i cui affreschi  costituirono fonte cospicua di ispirazione per gli artisti rinascimentali. Si tratta di un tipo di decorazione pittorica estremamente ricco e fantasioso in cui elementi vegetali, animali reali e fantastici, oggetti, mostri mitologici e figure umane s'intrecciano in modo da comporre armoniche  figurazioni con effetto caleidoscopico. Per restare nel nostro territorio ne troviamo esempi suggestivi nel Palazzo di Caprarola (su commissione del card. Alessandro Farnese Jr.) e nel castello Monaldeschi di Montecalvello. Le grottesche di Gradoli, che si sviluppano in composizioni agili e ariose dai lieti colori su fondo chiaro o turchino,  sono di grande raffinatezza e qualità e ciò ha fatto supporre che siano state dipinte dagli specialisti del settore: vale a dire  Giovanni da Udine e Perin del Vaga. Si tratta di nomi che oggi, forse, non dicono molto al grande pubblico, e noti soprattutto agli appassionati e ai cultori dell'arte, ma che allora erano in grandissima auge.



Particolare del fregio monocromo del Salone Ducale
 
 



Il salone nobile con il camino monumentale



Particolare del finto portico architravato
 
 
Il salotto del primo piano


Finta colonna
Finta colonna
di separazione dei
riquadri a grottesche
 
 

Riquadro a grottesche incorniciato con greca


Grottesca con volto e giglio Farnese
 
 

Candelabra


Riquadro con grottesche
 
 

Particolare di candelabra


Particolare del fregio
a grottesche
 
 Riteniamo comunque alquanto improbabile una simile attribuzione, e per vari motivi: anzitutto tale paternità non risulta dalle fonti e poi i due artisti, allora richiestissimi, erano più che occupati  a decorare i  palazzi romani. Non dobbiamo poi dimenticare la natura "feriale" del palazzo: ben difficilmente il card. Alessandro, che tra l'altro era contemporaneamente impegnato nell'immensa fabbrica del Palazzo Farnese di Roma,  avrebbe potuto disporre di tali personalità per la sua casa delle vacanze. Si tratta, con ogni evidenza, di affreschi realizzati da artisti di bottega: ma che bottega! stiamo infatti parlando della bottega di Raffaello, specializzata in simili decorazioni e dalla quale pure provenivano Giovanni da Udine e Perin del Vaga. Un ulteriore carattere della pittura a grottesche, che potrebbe aver spinto il card. Alessandro Farnese a preferirla,  riguarda la sua relativa facilità e rapidità di esecuzione, e la sua economicità. In effetti la decorazione a grottesche, in virtù della ripetitività dei motivi pittorici utilizzati e della perfetta simmetria delle figurazioni che dà luogo a composizioni pressochè speculari, ben si presta ad affrescare, con bell'impatto visivo, ambienti vasti e pareti dalle ampie superficie. Non a caso veniva prevalentemente eseguita da allievi o aiuti di bottega. Come avvenne con ogni probabilità anche a  Gradoli. Ma veniamo ai singoli ambienti.

Il Salone Ducale, al quale si accede direttamente dalla scala nobile, è interamente affrescato con un fregio pittorico che percorre tutte le sue quattro pareti.  Immediatamente al di sotto del pregevole soffitto ligneo troviamo - in scomparti delimitati dalle travi del medesimo- una fascia  di altezza analoga allo spessore delle travi, affrescata con gigli stilizzati di un colore violaceo. Al di sotto di questa una ulteriore fascia - alta circa il doppio rispetto alla precedente e di colore più chiaro- simula, con gradevole effetto trompe-l'oeil, la presenza di una rifinitura in stucco. Il finto rilievo riproduce, al centro, una rosa in corrispondenza di ogni giglio: si tratta evidentemente di una allusione al matrimonio tra Pier Luigi Farnese e Girolama Orsini e quindi all'unione tra il giglio farnesiano e la rosa ursinea. Subito dopo è disteso il notevole fregio monocromo, alto circa un metro, che enfatizza e delimita la parte alta della decorazione.  Vi sono raffigurati, in varie tonalità di grigio su fondo turchino, amorini dai capelli svolazzanti che carezzano la bocca di liocorni rampanti che emergono, a mò di pistillo, da enormi corolle di fiori giganti; in mezzo ai putti alati trovano posto mascheroni sormontati da bucrani (teschi di bue): il tutto guarnito da un tripudio di acanti. O Ancora:  busti di donna che poggiano su una conchiglia e i cui arti si sviluppano in volute di acanto che avvolgono grifoni dalle ali erette e che affondano il lunghissimo collo in steli di fiori dalla cui corolla sbucano cavallini (o gazzelle?).

Il fregio inferiore, alto circa due metri, si sviluppa in un'ampia fascia che risulta divisa dal fregio superiore da un finto architrave, rifinito con tratti che simulano rilievi di stucco. La parete appare suddivisa in grandi riquadri incorniciati da greche e delimitati da finte colonne che sembrano sorreggere, con bell'effetto prospettico, il falso architrave su cui poggia  il fregio monocromo. All'interno dei riquadri, esaltati dalle vivaci cornici in cui il rosso si abbina con l'oro, una sorta di grande candelabra sviluppa i suoi bracci in ampi e ariosi girali di acanto. Sui rami e sulle foglie, in etereo equilibrio, tutto il fantasioso repertorio tipico delle grottesche fa bella mostra di sé: sfingi e grifoni, pesci e conchiglie, bucrani e serpenti, levrieri e ogni sorta di uccelli e animali fantastici. Nel riquadro meglio conservato la candelabra  poggia su zampe di capro e  ha come centro di irradiazione un viso femminile florido e quasi ammiccante, al di sopra del quale svetta stilizzato un giglio farnesiano. Altri volti arricchiscono il fregio: visti frontalmente o più spesso di profilo, con i capelli scompigliati dal vento e le espressioni alterate.

La datazione degli affreschi è pressoché sicura: il palazzo fu edificato negli  anni che vanno dal 1515 al 1521, anno in cui la costruzione risultava terminata. L'edificio fu però effettivamente abitato solo a partire dal 1524: gli affreschi furono quindi realizzati nell'arco di tempo che va dal 1521 al 1524. Sappiamo anche che problemi di staticità evidenziati quasi subito dalla costruzione costrinsero il Sangallo a rimetterci le mani già qualche anno dopo la fine dei lavori. Il palazzo fu così dotato di adeguati rinforzi sotto forma di contrafforti posti su tre angoli dell'edificio (come già ricordato nell'articolo relativo alla storia del palazzo). Nel giro di un decennio, e quindi intorno al 1534, il palazzo assunse così il suo aspetto e la sua struttura definitivi, che ancora oggi possiamo ammirare.Nella sala centrale del piano nobile, che convenzionalmente abbiamo definito "salotto" come pure faremo per la corrispondente sala del secondo piano, troviamo, come nel Salone Ducale, una fascia pittorica che corre immediatamente al di sotto del soffitto, per un'altezza di circa due metri. Una analoga rifinitura chiara che simula finti rilievi di stucco delimita, in alto e in basso, il fregio monocromo a grottesche, anche in questo caso realizzato in gradazioni di grigio su fondo turchino. La sala è attualmente adibita, come abbiamo già ricordato, ad uffici di segreteria comunale.
  Il fregio affrescato, unica decorazione pittorica superstite in tutta la sala, appare alquanto deteriorato; come se il restauro, che ha interessato tutti i cicli pittorici del palazzo, non avesse ripulito a fondo la superficie affrescata, lasciandola per così dire "offuscata". Nondimeno il fregio risulta di grande interesse e tutti i suoi elementi appaiono chiaramente visibili.
La decorazione del fregio monocromo del salotto appare più articolata e complessa rispetto a quello del Salone Ducale ed è caratterizzata dalla presenza, assolutamente prevalente rispetto ad altri motivi pittorici, di uomini e donne indaffarati in curiose e non sempre evidenti operazioni, avvolti o arrampicati sui girali di acanto che costituiscono il trait-d'union di tutte le composizioni del piano nobile. Si possono anche ammirare putti, amorini e due figure femminili, una alata, assise su un trono, nell'atto di compiere gesti solenni.
Gli ometti, raffigurati per lo più nudi o con una sorta di tunica che all'altezza del busto assume l'aspetto di una corazza; e le donnine, che indossano una specie di peplo o altro abbigliamento di foggia classica, prendono sottobraccio i girali, vi si arrampicano sopra, si porgono non ben definiti oggetti, suonano lunghi strumenti musicali a fiato.
Questa particolare scelta iconografica ha fatto pensare che i personaggi e gli eventi ritratti non abbiano una funzione meramente decorativa ma assumano un valore di tipo allegorico. La donna alata con corona di foglie (alloro?) sulla testa e l'indice destro alzato con fare ammonitorio è stata così interpretata come la Gloria; la figura femminile seduta su un trono e che stringe nelle mani  un libro e uno specchio potrebbe a sua volta essere identificata con  la Prudenza o la Sapienza. Le due figure considerate nel loro insieme, con le varie figure di contorno, potrebbero rappresentare una allegoria della contrapposizione tra gioventù e vecchiezza, tra Gloria e Sapienza.
Queste interpretazioni, invero avvincenti, sembrano però contrastare con il fine ultimo delle decorazioni a grottesche che, almeno in ambiente romano, è essenzialmente quello di stupire, provocar meraviglia con la ricchezza di variopinti e capricciosi motivi pittorici. Non può comunque essere escluso, talora, un concomitante fine simbolico: basti pensare ai numerosi liocorni, simbolo farnesiano per eccellenza, che adornano il fregio monocromo del Salone Ducale.

Foto di Giacomo Mazzuoli e Giuseppe Moscatelli

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