Uomini e donne di casa Farnese

PIER LUIGI JR. , IL PEGGIORE DEI FARNESE

Parte Seconda

di Giuseppe Moscatelli

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L'istinto del guerriero


Nel 1520, a soli diciassette anni, Pierluigi Farnese era già mercenario al servizio di Venezia: fu la sua palestra, la sua scuola d'armi; il teatro delle sue prime prodezze e delle sue prime infamie. Il suo temperamento di guerriero tuttavia non ne fu a sufficienza appagato; o forse Carlo V pagava meglio: fatto sta che presto si trasferì nell'esercito imperiale. Pier Luigi restò vari anni al servizio dell'imperatore. La pratica militare era il suo habitat e rispondeva alle sue profonde inclinazioni: amava il fragore della battaglia, l'odore del sangue e della notte; amava la lotta, lo scontro, la mischia.

La guerra tempera l'uomo e stempera nobiltà e abominio. Fu così che nel 1527, al soldo dell'imperatore, e in compagnia delle orde dei lanzichenecchi, Pier Luigi si esaltò nel sacco di Roma: un'intera città ai propri piedi, sotto i propri piedi; un'intera città da depredare, devastare, incendiare… un'intera popolazione da terrorizzare, oltraggiare, trucidare… E se un Farnese sfregiava Roma col ferro e col fuoco, un altro Farnese,  Ranuccio, fratello di Pier Luigi, combatteva eroicamente in sua difesa nella resistenza pontificia. Due fratelli "l'un contro l'altro armato", e un padre, il cardinal Alessandro Farnese, rifugiatosi al sicuro in Castel Sant'Angelo insieme al papa Clemente VII, che trepidava per le sorti della sua città, ma ancor più per la sorte di suo figlio Pier Luigi, il primogenito, il prediletto.

Questi, da parte sua, prima ancora che mercenario e soldato era soprattutto un Farnese: aguzzino e tiranno quanto si vuole, ma non al punto da compromettere i beni e gli interessi di famiglia; si acquartierò infatti con le sue truppe nel palazzo di famiglia, Palazzo Farnese, preservandolo così dalla distruzione. La ferocia dei Lanzichenecchi in quei giorni di sanguinosa euforia è rimasta memorabile: "non ai luoghi, non alle persone, non al sesso, non ai templi, né a Iddio stesso ebbero giammai riguardo o rispetto" commentava amaramente un cronista dell'epoca . Pier Luigi non fu da meno. Galvanizzato dal saccheggio e dal senso di onnipotenza, continuò a imperversare con le sue squadracce nella campagna romana anche dopo il ritiro delle soldataglie di Carlo V, reiterando, non ancora appagato, ruberie, delitti ed ogni genere di misfatti. A quel punto la scomunica e l'anatema furono inevitabili.

La situazione che si era venuta a creare, tuttavia, risultava intollerabile per Il cardinal Alessandro, e non solo perché coinvolgeva il proprio figlio: da diplomatico fine ed astuto quale era iniziò una  paziente opera di ricucitura che ben presto diede i suoi frutti. Sotto la regia attenta del padre Pier Luigi riconobbe  le proprie colpe,  implorando -e ottenendo - il perdono papale. La scomunica fu così ritirata già nel 1528.

Sistemata la "questione romana" Pier Luigi tornò sui suoi passi: cosa sapeva fare, se non la guerra? cosa poteva fare, se non combattere? Per cui, già in quello stesso anno, lo ritroviamo nelle truppe imperiali, impegnate nel meridione d'Italia contro l'esercito francese; ancora una volta sul fronte opposto rispetto a due suoi parenti: Ranuccio e Galeazzo, del ramo di Latera, che lì militavano. La sua tempra di combattente risaltò per la tenacia e il valore  manifestati nella difesa di Manfredonia. La sua natura di mercenario, tuttavia, lo portava a inseguire le guerre lungo tutta la penisola, e a rincorrere le condizioni migliori di ingaggio: nel 1529 passa così  al soldo del principe di Orange e combatte strenuamente contro Firenze .

Ormai sappiamo come Pier Luigi intendeva la guerra: un'occasione per dar libero sfogo a tutte le infamie che un animo perverso può suggerire. Questa volta tuttavia, c'è da credere,  si lasciò prendere un po’ troppo la mano, tant'è che a causa delle terribili violenze a cui si era lasciato andare fu destituito dal comando. Ciò costituì per lui una sconfitta e ancor più una umiliazione, la prima dopo tante che lui aveva inflitto. Non gli restò che rifugiarsi nella sua rocca, a Valentano, dove ad attenderlo c'era Gerolama, la moglie fedele e devota,  e i figli nati nel frattempo. Non gli restò che occuparsi  delle sue terre,  del suo feudo, al quale negli anni a seguire dedicherà tutte le sue energie, realizzando sensibili migliorie.

Pier Luigi è ancora molto giovane, non ha ancora trent'anni. La sua parabola esistenziale è ancora nella fase ascendente, nuovi onori e nuovi misfatti stanno per profilarsi all'orizzonte.

Orizzonti di gloria

A sottrarre Pier Luigi dai blandi piaceri della vita familiare e dalle battute di caccia al Lamone arriva da Roma, nell'ottobre del 1534, una notizia lungamente attesa e forse per questo quasi inaspettata: il padre Alessandro Farnese è stato eletto papa con il nome di Paolo III. E' quanto i Farnese hanno sempre sognato: la definitiva consacrazione della loro stirpe, il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato quattro secoli prima. Nella rocca di Valentano si organizzano grandi festeggiamenti, dopochè Pier Luigi parte alla volta di Roma.

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Paolo III nomina il figlio Pierluigi duca di Parma e Piacenza
(Sebastiano Ricci, 1687)

Cosa non farebbe un padre per il proprio figlio? Specialmente se questo padre si chiama Paolo III ed è il capo della Chiesa e questo figlio si chiama Pier Luigi Farnese ed è il guerriero di cui abbiamo finora raccontato? Quantomeno lo nominerebbe  comandante supremo delle milizie pontificie… ed è appunto ciò che avvenne . Non fu tuttavia che l'inizio di uno strabiliante cursus honorum, risolto tutto in ambito nepotistico, che vide il papa riversare sul figlio prediletto ogni sorta di dignità e cariche: fu così che Pier Luigi divenne Gonfaloniere della Chiesa, governatore perpetuo di Nepi, conte di Ronciglione, Caprarola e Bisenzio, marchese di Novara… Per lui il papa si inventò il Ducato di Castro, minuscolo stato, una sorta di "enclave" all'interno del territorio pontificio… ovvero la prova generale per quello che è stato giustamente definito il "capolavoro nepotistico" di Paolo III: la creazione del Ducato di Parma e Piacenza, distaccato dallo Stato della Chiesa e concesso nel 1545 in signoria a Pier Luigi e ai suoi discendenti. 

Con la creazione del Ducato di Parma e Piacenza inizia un'altra storia. I Farnese, ex capitani di ventura e signorotti di campagna,  prima cooptati dall'aristocrazia romana e poi assurti con Paolo III alla dignità pontificia, vengono ora proiettati nei ranghi alti della nobiltà europea. Una Farnese sposerà un re e genererà una stirpe reale (i Borboni). Recedono le antiche virtù guerriere, la stirpe si imborghesisce, avanza la pinguedine. Il Ducato di Parma e Piacenza durerà quasi due secoli e vedrà la successione di otto duchi. Ma questa è tutta un'altra storia.

Noi, nella terza parte di questo saggio, continueremo ad occuparci di Pier Luigi, per indagare gli aspetti più oscuri e inquietanti  della sua personalità e della sua condotta.

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Piatto realizzato in occasione della nomina di Pier Luigi Farnese a Gonfaloniere della Chiesa: i sei gigli farnese "scortano" la tiara pontificia e le chiavi di S. Pietro.

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La Rocca di Valentano, residenza di Pierluigi e Gerolama

 
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Pierluigi e Gerolama nel corteo storico di Piansano

 
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Pierluigi Farnese
 
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Pierluigi in un dipinto del Tiziano (1546)
 
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Il Cardinale Alessandro Farnese, padre di Pierluigi (Raffaello,1510)
 
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Il Cardinale Alessandro Farnese, figlio di Pierluigi e nipote di Paolo III  (Tiziano,1546)
 
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Papa Paolo III nomina il figlio Pierluigi Gonfaloniere della Chiesa
 
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Papa Paolo III nomina il figlio Pierluigi duca di Parma e Piacenza
 
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Clemente VII, il papa che scomunicò Pierluigi

 
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