Nel 1520, a soli diciassette anni, Pierluigi Farnese era già
mercenario al servizio di Venezia: fu la sua palestra, la sua scuola
d'armi; il teatro delle sue prime prodezze e delle sue prime infamie. Il
suo temperamento di guerriero tuttavia non ne fu a sufficienza appagato; o
forse Carlo V pagava meglio: fatto sta che presto si trasferì
nell'esercito imperiale. Pier Luigi restò vari anni al servizio
dell'imperatore. La pratica militare era il suo habitat e rispondeva alle
sue profonde inclinazioni: amava il fragore della battaglia, l'odore del
sangue e della notte; amava la lotta, lo scontro, la mischia.
La guerra tempera l'uomo e stempera
nobiltà e abominio. Fu così che nel 1527, al soldo dell'imperatore, e in
compagnia delle orde dei lanzichenecchi, Pier Luigi si esaltò nel sacco
di Roma: un'intera città ai propri piedi, sotto i propri piedi; un'intera
città da depredare, devastare, incendiare… un'intera popolazione da
terrorizzare, oltraggiare, trucidare… E se un Farnese sfregiava Roma col
ferro e col fuoco, un altro Farnese,
Ranuccio, fratello di Pier Luigi, combatteva eroicamente in sua
difesa nella resistenza pontificia. Due fratelli "l'un contro l'altro
armato", e un padre, il cardinal Alessandro Farnese, rifugiatosi al
sicuro in Castel Sant'Angelo insieme al papa Clemente VII, che trepidava
per le sorti della sua città, ma ancor più per la sorte di suo figlio
Pier Luigi, il primogenito, il prediletto.
Questi, da parte sua, prima ancora che
mercenario e soldato era soprattutto un Farnese: aguzzino e tiranno quanto
si vuole, ma non al punto da compromettere i beni e gli interessi di
famiglia; si acquartierò infatti con le sue truppe nel palazzo di
famiglia, Palazzo Farnese, preservandolo così dalla distruzione. La
ferocia dei Lanzichenecchi in quei giorni di sanguinosa euforia è rimasta
memorabile: "non ai luoghi, non alle persone, non al sesso, non ai
templi, né a Iddio stesso ebbero giammai riguardo o rispetto"
commentava amaramente un cronista dell'epoca . Pier Luigi non fu da meno.
Galvanizzato dal saccheggio e dal senso di onnipotenza, continuò a
imperversare con le sue squadracce nella campagna romana anche dopo il
ritiro delle soldataglie di Carlo V, reiterando, non ancora appagato,
ruberie, delitti ed ogni genere di misfatti. A quel punto la scomunica e
l'anatema furono inevitabili.
La situazione che si era venuta a
creare, tuttavia, risultava intollerabile per Il cardinal Alessandro, e
non solo perché coinvolgeva il proprio figlio: da diplomatico fine ed
astuto quale era iniziò una paziente opera di ricucitura che ben presto diede i suoi
frutti. Sotto la regia attenta del padre Pier Luigi riconobbe le proprie colpe, implorando
-e ottenendo - il perdono papale. La scomunica fu così ritirata già nel
1528.
Sistemata la "questione
romana" Pier Luigi tornò sui suoi passi: cosa sapeva fare, se non la
guerra? cosa poteva fare, se non combattere? Per cui, già in quello
stesso anno, lo ritroviamo nelle truppe imperiali, impegnate nel meridione
d'Italia contro l'esercito francese; ancora una volta sul fronte opposto
rispetto a due suoi parenti: Ranuccio e Galeazzo, del ramo di Latera, che
lì militavano. La sua tempra di combattente risaltò per la tenacia e il
valore manifestati nella
difesa di Manfredonia. La sua natura di mercenario, tuttavia, lo portava a
inseguire le guerre lungo tutta la penisola, e a rincorrere le condizioni
migliori di ingaggio: nel 1529 passa così
al soldo del principe di Orange e combatte strenuamente contro
Firenze .
Ormai sappiamo come Pier Luigi
intendeva la guerra: un'occasione per dar libero sfogo a tutte le infamie
che un animo perverso può suggerire. Questa volta tuttavia, c'è da
credere, si lasciò prendere
un po’ troppo la mano, tant'è che a causa delle terribili violenze a
cui si era lasciato andare fu destituito dal comando. Ciò costituì per
lui una sconfitta e ancor più una umiliazione, la prima dopo tante che
lui aveva inflitto. Non gli restò che rifugiarsi nella sua rocca, a
Valentano, dove ad attenderlo c'era Gerolama, la moglie fedele e devota,
e i figli nati nel frattempo. Non gli restò che occuparsi delle sue terre, del
suo feudo, al quale negli anni a seguire dedicherà tutte le sue energie,
realizzando sensibili migliorie.
Pier Luigi è ancora molto giovane, non
ha ancora trent'anni. La sua parabola esistenziale è ancora nella fase
ascendente, nuovi onori e nuovi misfatti stanno per profilarsi
all'orizzonte.
A sottrarre Pier Luigi dai blandi piaceri della vita familiare e
dalle battute di caccia al Lamone arriva da Roma, nell'ottobre del 1534,
una notizia lungamente attesa e forse per questo quasi inaspettata: il
padre Alessandro Farnese è stato eletto papa con il nome di Paolo III. E'
quanto i Farnese hanno sempre sognato: la definitiva consacrazione della
loro stirpe, il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato quattro
secoli prima. Nella rocca di Valentano si organizzano grandi
festeggiamenti, dopochè Pier Luigi parte alla volta di Roma.
Paolo III
nomina il figlio Pierluigi duca di Parma e Piacenza
(Sebastiano Ricci, 1687) |
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Cosa non farebbe un padre per il proprio figlio? Specialmente se
questo padre si chiama Paolo III ed è il capo della Chiesa e questo
figlio si chiama Pier Luigi Farnese ed è il guerriero di cui abbiamo
finora raccontato? Quantomeno lo nominerebbe
comandante supremo delle milizie pontificie… ed è appunto ciò
che avvenne . Non fu tuttavia che l'inizio di uno strabiliante cursus
honorum, risolto tutto in
ambito nepotistico, che vide il papa riversare sul figlio prediletto ogni
sorta di dignità e cariche: fu così che Pier Luigi divenne Gonfaloniere
della Chiesa, governatore perpetuo di Nepi, conte di Ronciglione,
Caprarola e Bisenzio, marchese di Novara… Per lui il papa si inventò il
Ducato di Castro, minuscolo stato, una sorta di "enclave"
all'interno del territorio pontificio… ovvero la prova generale per
quello che è stato giustamente definito il "capolavoro
nepotistico" di Paolo III: la creazione del Ducato di Parma e
Piacenza, distaccato dallo Stato della Chiesa e concesso nel 1545 in
signoria a Pier Luigi e ai suoi discendenti.
Con la creazione del Ducato di
Parma e Piacenza inizia un'altra storia. I Farnese, ex capitani di ventura
e signorotti di campagna, prima
cooptati dall'aristocrazia romana e poi assurti con Paolo III alla dignità
pontificia, vengono ora proiettati nei ranghi alti della nobiltà europea.
Una Farnese sposerà un re e genererà una stirpe reale (i Borboni).
Recedono le antiche virtù guerriere, la stirpe si imborghesisce, avanza
la pinguedine. Il Ducato di Parma e Piacenza durerà quasi due secoli e
vedrà la successione di otto duchi. Ma questa è tutta un'altra storia.
Noi, nella terza parte di questo
saggio, continueremo ad occuparci di Pier Luigi, per indagare gli aspetti
più oscuri e inquietanti della
sua personalità e della sua condotta.
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Piatto
realizzato in occasione della nomina di Pier Luigi Farnese a
Gonfaloniere della Chiesa: i sei gigli farnese "scortano"
la tiara pontificia e le chiavi di S. Pietro.
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