Si tratta di uno dei più grandi trafficanti di rarità archeologiche del mondo. Condannato in primo grado a 10 anni di reclusione |
Riportiamo alcuni estratti da un servizio di Fabio Isman sul Messaggero del 4 marzo 2009:
Giacomo Medici, romano con villa a Santa Marinella, 70 anni ben portati, detiene un primato: tra i “Predatori dell’arte perduta”, è l’unico di spicco già condannato. Ritenendolo un protagonista della “Grande Razzia”, il furto sistematico e organizzato di reperti dal nostro sottosuolo che dal 1970 ha coinvolto un milione d’antichità e 10 mila persone, il giudice Guglielmo Muntoni, a fine 2004, gli ha inflitto 10 anni di carcere e una provvisionale allo Stato di 10 milioni di euro, per i danni arrecati al patrimonio culturale. Dopo le prime schermaglie a Roma, si celebra l’appello: pubblico accusatore il Pm Paolo Giorgio Ferri, quello che ha inquisito «almeno 2.500 protagonisti della Razzia», con l’aiuto determinante dei “carabinieri dell’arte”, allora diretti dal generale Roberto Conforti.
Per Muntoni, Medici è complice nella devastazione di almeno 200 mila siti: condannato anche per riciclaggio. Lui si è sempre preteso innocente; ma «non dà risposte sensate» (sempre Muntoni). Per le sue mani, stando ai processi, passano tesori unici al mondo: alcuni, i musei americani (Metropolitan, Getty, Boston) li hanno restituiti e sono stati subito esposti, con solennità, al Quirinale. Medici è già implicato nella vendita d’un capostipite della Razzia, il Cratere di Eufronio, restituito dal Met che nel 1972 l’aveva pagato un milione di dollari (altro record) a Robert Hecht, grande mercante internazionale, processato a Roma con l’ex curator del Getty Marion True. Ma un memo del Getty lo accusa anche per il trapezophoros, sostegno d’una tavola rituale con Due grifoni che sbranano una cerva (il museo paga 5,5 milioni di dollari quest’altro unicum), del 300 a.C., estratto nel 1978 a Ascoli Satriano; in vacanza, Medici si farà fotografare, in posa trionfante, davanti a questo ed altri “suoi” capolavori esposti nei musei; e del trapezophoros, nel suo sancta sanctorum, aveva le foto appena cavato dal sottosuolo e dalla notte dei tempi. Ma a Ginevra, possedeva anche intere pareti di affreschi di area pompeiana; e orribili immagini ne eternavano, in presa diretta, lo scavo clandestino: in un mercato dove il falso è sempre in agguato, e le provenienze non confessabili, le foto garantivano l’autenticità dei reperti.
Medici non scavava, non si sporcava le mani; era il massimo intermediario nel Centro Italia: molti dicono che bisognava ricorrere ai suoi collaboratori per vendergli qualcosa. Ha spesso “ripulito” i reperti vendendoli alle aste a Londra, per poi ricomperarli: nel 1985, 746 lotti. Talora, oggetti rubati non soltanto al sottosuolo: anche sarcofagi dalla chiesa di San Saba a Roma; un candelabro e un treppiede etruschi (rarissimi) già in collezione Guglielmi; capitelli e un sarcofago sottratti da una villa al Circeo; l’immenso capitello del tavolo nello showroom di Ginevra proveniva da Villa Celimontana. Traffici da milioni di dollari; a Santa Marinella, gli è stata sequestrata la grande villa con due campi da tennis, ma anche una Maserati. Il Pm ne chiede la condanna anche per i pochi oggetti per i quali era stato assolto. Con un altro famoso “Predatore”, Mario Bruno poi defunto, a Cerveteri aveva comperato il terreno dove erano stati trovati frammenti di vasi di Eufronio: ma lo Stato lo ha impedito, dichiarandolo area archeologica e rilevandolo lui. Di un vaso del Pittore di Berlino finito al Met che lo ha restituito, aveva in archivio 34 foto appena scavato: è «punto di riferimento per oltre 20 mila oggetti estratti di frodo». Nutriva una corrispondenza assai friendly con l’ex curator del Getty, True; un giorno, le spiega da dove venga un certo reperto venduto al museo: lei non se lo ricordava. Ma, troppo pericoloso, i musei ufficialmente non compravano mai direttamente da lui: passava attraverso grandi dealers. Già da ragazzo, con una 500 usata, girava a Cerveteri per i “tombaroli”, comprando ogni mattrina quanto avevano scavato di notte; a via del Babuino, aveva l’Antiquaria Romana, un negozio; lo chiude, si trasferisce in Svizzera. Al giudice elvetico che gli chiede perché, spiega: «Nel mio Paese, il fisco ha difficoltà d’orientamento».
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