La creazione del Ducato di Parma
e Piacenza allontanò i Farnese - almeno il loro ramo principale-
dalle terre di origine e soprattutto da Roma. Il ducato padano ha
una sua storia ed una sua genealogia ben definite: gli otto duchi si
succedono per via
ereditaria in un arco di tempo di quasi due secoli. Si tenta anche
una "riorganizzazione" dinastica, per cui il quarto duca
prese il nome di Ranuccio I (…e pensare che il fondatore
"storico" della dinastia, vissuto due secoli prima, era già
il quarto "Ranuccio" della serie!),
il sesto duca Ranuccio II…
Allontanandosi
da Roma viene necessariamente meno anche il legame con i grandi
artisti che con le loro opere avevano celebrato il casato: Tiziano,
Raffaello, Michelangelo, Annibale Carracci, Sangallo, Vignola… Se
i Farnese "romani" si facevano ritrarre da Tiziano o da
Raffaello, i Farnese "padani" dovranno accontentarsi di
Sebastiano Ricci, Giovanni
Evangelista Draghi, Ilario Spolverini…
Tiziano,
in particolare, fu il ritrattista ufficiale del periodo
"romano" e ci ha tramandato opere assolutamente
straordinarie, non solo dal punto di vista artistico - essendo a
buon diritto annoverate tra i capolavori della pittura italiana- ma
anche per la profonda capacità di introspezione psicologica che
l'artista rivela nel cogliere i moti profondi dell'animo dei
personaggi ritratti e nel trasfonderli poi sulla tela. Comprendiamo
di più Paolo III osservando i ritratti che ne fece Tiziano che
leggendo qualsiasi libro di storia. Oltre al papa ritroviamo in
questa galleria "dedicata" anche i nipoti Ottavio,
Ranuccio, il cardinal Alessandro Farnese Jr. e naturalmente il
figlio Pier Luigi.
Il
ritratto di Pier Luigi - conservato presso la Galleria Capodimonte
di Napoli- oltre che per il notevole impatto visivo, si impone
per la maestria dell'artista nel far trasparire in quel volto
sprezzante ed altero il "lato oscuro" che connotò la sua
personalità: infatti, pur nelle maglie ristrette di un ritratto su
commissione, e quindi celebrativo, l'artista dipana una fitta rete
di spunti allusivi che ci sospingono a leggere ben oltre la
superficie.
Il
ritratto è databile al 1546: Pier Luigi quindi da un anno è già
duca di Parma e Piacenza; ciò nonostante scansando ambientazioni
aristocratiche e sfarzosi abiti da parata - tanto apprezzati invece
dai suoi successori- preferisce
farsi ritrarre nella sua lucente armatura di
guerriero, come su un campo di battaglia: la fronte alta scolpita da
un raggio di luce, il naso aquilino, le orecchie aguzze, il viso
scarno, emaciato; lo sguardo fiero rivolto lontano, appena venato da
un'ombra di malinconia.
Alle
sue spalle un armigero sorregge uno stendardo: appare in affanno,
come trafelato; ha gli occhi alterati, la bocca dischiusa,
l'espressione concitata, come chi sta enunciando qualcosa di grave,
forse insanabile: ma nulla potrebbe turbare la quiete perfetta, la
calma atarassica di un
dio della guerra.
Tiziano sapeva, come tutti
sapevano; o forse, essendo un artista, intuiva la profonda
aberrazione della natura del Duca. Della sua crudeltà di guerriero
rapace abbiamo già detto; ma, si dirà, la guerra è la guerra…
Nel lato oscuro di Pier Luigi tuttavia si annida qualcosa che
con la guerra non c'entra, ma che la guerra può ben esaltare: una
smodata, devastante, incontenibile, rovinosa lussuria.
Tale
era la sua depravazione da scardinare ogni regola morale o
convenzione sociale, al punto da non arretrare nemmeno sulla soglia
del sacrilegio, come dimostra la penosa vicenda del vescovo di Fano.
Occorre a questo punto chiarire che la sua distorta sensualità era
fortemente accesa da inclinazioni
eterodosse: non che disdegnasse le donne
- dalla devotissima moglie Gerolama Orsini ebbe cinque figli,
tutti nati nella rocca di Valentano- ma la sua passione erano i
ragazzi, come è ampiamente documentato nelle fonti.
Secondo un cronista dell'epoca nobili e gentiluomini di Roma
scansavano i loro figli "dalla
furiosa libidine di quel signore" di cui per altro era nota
la vita disonesta "tenuta
nella corruzione di giovanetti". Si potrebbe pensare ad
esagerazioni o malelingue, o comunque a testimonianze troppo di
parte per essere
attendibili. Ma non è così. Il papa stesso ne era pienamente
consapevole (e ne soffriva molto) e del resto Pier Luigi nulla
faceva per nascondere o mistificare la sua condotta. Ciò è
documentato da una lettera che
Paolo III fece scrivere al figlio nel 1535 e nella quale
aspramente lo rimprovera per aver portato con sé
"quelli
giovanetti, delli quali li parlò alla partita sua per Perugia",
e nella quale fa altresì riferire al
figlio che
"n'ha preso tanto fastidio che non lo potrei mai
esprimere".
Il
compito redattore prosegue ricordando allo "scapestrato"
destinatario che il papa ha motivo di dolersi di ciò per tre
motivi: innanzitutto "per
servitio di Dio",
essendo evidente che
"fino
che persevera in simile error"
non potrà
venirgliene mai niente di buono;
poi
"per honor della casa Farnese": ecco il richiamo,
immancabile, ai destini del casato… come dire: dopo tutto quello
che abbiamo fatto per arrivare fin qui (e per lavare i panni
sporchi…); ed infine per la scarsa considerazione che Pier Luigi
mostra di avere "delli comandamenti di Sua Beatitudine", avendogli detto
il padre le stesse cose già tante volte e così pure più volte
proibito tali turpitudini. Dopo questa tirata dai toni tra il duro e
il paternalistico, ecco la precisa ingiunzione papale: "Vorrà
adunque rimandarli indietro, perché andando in corte dell'Imperator
che tanto aborrisce simil vitio, è certissimo che non li potrà
portar se non grandissima infamia et dishonore".
Non
sappiamo se, almeno in questa occasione, Pier Luigi abbia ascoltato
l'accorato appello del papa, certo è che
da questo documento traspare con tutta chiarezza che Pier
Luigi amava circondarsi di una piccola corte di
"giovanetti " che lo seguivano nei suoi spostamenti, sia
che si recasse dal papa che dall'imperatore.
La battaglia di Paolo III
per la salvezza dell'anima del figlio doveva comunque rivelarsi
alquanto ardua: sono tutt'altro che isolate le notizie storiche e
aneddotiche su questo ed altri analoghi "capricci" del duca.
Da una lettera scritta nel 1540 da un funzionario fiorentino
in Roma al suo corrispondente presso
la corte medicea veniamo a conoscenza di un altro episodio
decisamente riprovevole, per quanto a lieto fine.
In quel periodo il card. Ippolito d'Este
si trovava a Roma ed "essendo
d'un paese che produce assai belli figlioli"
nel suo seguito ve n'era uno che "alli
occhi del nostro Ill.mo S.r Duca di Castro, li era et è piaciuto
extremamente", tanto che il povero servitore non aveva più
pace per le insistenze e le pressioni dei mezzani del duca,
avendo "diliberato
Sua Ex.tia sfogare questo suo appetito".
Il
giovane tuttavia, dimostrando una ostinazione degna di miglior causa
(lascia intendere il redattore…)
non volle
piegarsi alle
voglie del duca,
tanto che
questi "spinto dal
furore di Cupido"
-
chiosa elegantemente l'autore - decise di averlo a qualsiasi costo.
Potrà apparire anche
ridicolo (se non fosse invece drammatico…) ma pare che Pier Luigi,
sostenuto dalla sua ghenga, dopo appostamenti e pedinamenti, "dette
la battaglia alla casa" dove il giovane si era rifugiato,
al punto
che a questi - vista la malaparata- non
restò come unica via di fuga che gettarsi dalla finestra: "et così scampò la furia per quella volta", conclude
in modo assai poco rassicurante il nostro autore.
In
effetti ci fu un secondo tentativo, anche questo andato a vuoto!, ma
il giovane, a causa di una fuga nuovamente precipitosa , se la vide
piuttosto brutta tanto che "scampato
il pericolo tornò a casa mezzo morto". La ragione di ciò, ci fa intendere l'autore, è che il
ragazzo conoscendo le abitudini del duca riteneva preferibile " più presto voler morire di cascata, che come il povero vescovo di Fano"
(di cui tra poco diremo).
Nonostante gli insuccessi, tuttavia, Pier
Luigi non demorde e mette sulle tracce del fuggitivo un piccolo
esercito di quaranta persone (!) al fine di catturarlo e
condurlo a lui
con la forza. Al buon giovane non restò che confidarsi con il suo
cardinale che, vista la gravità della situazione, lo spedì
prontamente in Lombardia per sottrarlo alle insidie del duca. Il
buon prelato salvò così la virtù (e forse la vita…) del suo
servitore, ma si beccò il biasimo del cronista poiché, a suo
giudizio, il cardinale "doveva pur far compiacere un tanto Signore, se Cupido lho haveva
preso" !
L'episodio più squallido e
sgradevole della biografia del nostro è comunque quello relativo
alla vicenda del vescovo di Fano: a questo fatto è anche legata la
fama sulfurea e luciferina di Pier Luigi, da allora considerato una
specie di diavolo in terra. Gli apologeti dei Farnese
si diedero molto da fare per contestarne la veridicità,
attribuendo "la calunnia" ai nemici politici
dei Farnese o a quelli religiosi della Chiesa di Roma (non
dimentichiamo che Pier Luigi era il figlio del papa!).
Il
fatto, che sembra comunque storicamente accertato, ci è noto per la
precisa cronaca fattane da Benedetto Varchi (1503-1565) nella sua
"Storia fiorentina". L' Autore inizia il suo racconto
riferendo le voci, già note, sulla incontenibile depravazione del
duca il quale "ebbro della sua fortuna e sicuro per l'indulgenza del padre" di
poter comunque farla franca
"andava per le terre della Chiesa stuprando, o per amore o per
forza, quanti giovani gli venivano veduti, che gli
piacessero"… (da
che pulpito… ci verrebbe da dire: il medesimo Varchi fu arrestato
per lo stupro di una bambina ed esaltò nelle sue opere "l'amor
socratico"!). Il nostro autore prosegue dicendo che nel 1537
Pier Luigi -che era impegnato in un giro di ispezioni alle fortezze
marchigiane- da Ancona si portò a Fano, dove fu accolto con gli
onori dovuti al figlio del pontefice e Gonfaloniere della Chiesa dal
vescovo della città, messer
Cosimo Gheri.
Il
"vescovo" era un ragazzo poco più che ventenne, e suscitò
la morbosa lascivia di Pier Luigi, il quale si rivolse subito a lui
con "parole oscenissime
secondo l'usanza sua, il quale era scostumatissimo" chiedendo
come se la spassasse con tutte quelle
belle donne che c'erano a Fano. Il giovane, buono e accorto,
conoscendo la fama del duca, rispose
in modo rispettoso ma senza nascondere il suo sdegno che
"ciò non essere ufficio
suo"; e per sviarlo da quel ragionamento gli prospettò la questione politica della necessità di una pacificazione
della città, dilaniata dalle opposte fazioni.
Il
giorno successivo Pier Luigi, con il pretesto di trattare la
questione che gli era stata prospettata,
si incontrò nuovamente con il vescovo, ma manifestò
immediatamente le sue vere intenzioni, e infatti :
"
cominciò, palpando e stazzonando il vescovo, a voler fare i più
disonesti atti che con femmine far si possano".
Tuttavia, visto che il vescovo
era tutt'altro che disponibile, anzi, si difendeva gagliardamente
(aveva vent'anni!) non solo da Pier Luigi - il quale essendo già
allora divorato dalla sifilide non era certo irresistibile- ma
anche dai suoi scagnozzi "i
quali brigavano di tenerlo fermo", volendo Pier Luigi
piegare definitivamente la sua resistenza decise di farlo legare..
Non solo: "li tennero
i pugnali ignudi alla gola, minacciandolo continuamente, se si
muoveva, di scannarlo". E non rinunciarono a sfregiarlo con
le punte dei pugnali.
Non
sopportando l'umiliazione per l'oltraggio subito, dopo poche
settimane il vescovo morì. Vi è anche chi dice
che il giovane fu fatto avvelenare da Pier Luigi, per non far
trapelare la notizia dello stupro.
Ma, per quanto l'ipotesi possa apparire plausibile, non ci
sembra che Pier luigi potesse nutrire di simili preoccupazioni: la
sua fama di sodomita, scellerato
e corrotto, era già
ampiamente diffusa, e non mostrava di tenerne gran conto.
A
questo punto servirebbe a qualcosa ricordare che, nonostante tutto,
gli vengono unanimemente riconosciute
qualità e doti di buon e saggio amministratore? che prima nel
ducato di Castro e poi in quello di Parma e Piacenza (dei quali
entrambi fu primo duca) promosse l'istruzione
e l'educazione, praticò il mecenatismo, riorganizzò la giustizia, favorì l'agricoltura e il
commercio e soprattutto intraprese
una politica di grandi opere e costruzioni, edificando palazzi,
migliorando la viabilità, risanando e urbanizzando ampie aree… si
distinse cioè in tutto ciò che oggi, in una parola, chiamiamo buon
governo? Forse può servire ad aggiungere qualche pennellata di
colore in un personaggio in cui prevalgono le tinte fosche.
Pier
Luigi fu assassinato, il 10 dicembre 1547 nella
sua fortezza di Piacenza.
Fu
vittima di una congiura organizzata dai nobili piacentini, su
istigazione di don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, con il
consenso dell'imperatore Carlo V.
Fu
sgozzato da un manipolo di sicari, fatti entrare proditoriamente
nella fortezza, che arrivarono a lui dopo aver reso lo stesso
servizio alle sue guardie. Poi lo presero per i piedi, lo
penzolarono alla finestra e lo gettarono nel sottostante fossato, di
fronte ad una folla attonita attirata dal fragore della lotta.
Di
lui è stato detto, come di Caravaggio, "morì male così come
era vissuto".
Le
sue membra straziate furono ricomposte e sepolte a Piacenza, prima
in una chiesa, poi in un'altra; poi traslate a Parma a cura della
devotissima moglie Girolama Orsini e infine trovarono pace nel
sacrario Farnese sull'isola Bisentina, dove dopo la morte lo
raggiungeranno anche la moglie e il figlio cardinale Ranuccio.
Cosa
dire, in conclusione, di lui? Fu un uomo violento e crudele, per
qualcuno anche geniale. A noi tuttavia piace ricordare quella vena
di sottile malinconia che pervade il suo volto nel bel dipinto di
Tiziano.
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