di Giuseppe Moscatelli

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Un Liocorno per amico

   Quando entriamo nella camera di Giulia Farnese, nella Rocca di Carbognano, istintivamente abbassiamo la voce, e i passi si fanno più attutiti. Avvertiamo la presenza di un che di religioso: una sorta di (profana) sacralità che reclama il nostro rispetto. Religione di simboli, che molteplici ci incalzano da ogni angolo e lato; sacralità di parole, che si estrinseca in formule oscure e motti enigmatici, che ci ammoniscono da aerei cartigli.
   Giulia è lì che ci guarda, dall'alto del fregio affrescato intorno alla volta: ci appare serena, rilassata, tranquilla. Ha il viso roseo e rotondo. I biondi e lunghi capelli, scriminati sulla fronte, raccolti dietro la nuca. Il seno è florido, così come i fianchi. Ha lunghe e candide braccia, interamente scoperte. L'incarnato è perlaceo. Indossa una veste lunghissima e ampia, una sorta di tunica dai tenui colori pastello: l'alto giro vita, appena al di sotto del seno, è stretto talvolta da un nastro che esalta il suo décolleté. E' seduta. Non è sola. Accanto a lei è il liocorno.
   Già il liocorno. Nessuna creatura fantastica partorita dalla mente dell'uomo è mai stata così viva e reale come questo animale che quasi a fatica riteniamo mitologico. Non era tale per gli uomini del medioevo che in dotti bestiari ne illustravano anatomia, abitudini e tratti caratteriali. Così pure per noi moderni, usi alle più improbabili e inverosimili leggende metropolitane. Chi, in fondo, non sarebbe disposto a credere alla veritiera esistenza di un cavallo bianco con un candido corno, lungo e affilato, infisso sulla fronte? taluni potrebbero sicuramente affermare di averlo ammirato in un parco biologico; altri, più smaliziati, spiegherebbero che si tratta semplicemente di un ulteriore successo della manipolazione genetica. I nostri progenitori reputavano invece il liocorno come una temibile fiera delle foreste: da catturare e uccidere quindi; un trofeo da offrire al sovrano. E il modo per riuscirvi era uno solo: la presenza di una fanciulla, di una vergine.
   Il liocorno - nella prevalente iconografia rappresentato come un cavallo con barbetta di caprone, zoccoli bovini e corno sulla fronte - era una bestia solitaria e diffidente, anche nei confronti dei propri simili che teneva a debita distanza. Selvaggio e inavvicinabile, aveva però il suo tallone di Achille: una debolezza di cui i cacciatori erano pronti ad approfittare. Quando una fanciulla si sedeva in una radura del bosco, il liocorno avvertiva il soave profumo della verginità che si propagava nell'aria: perdeva allora ogni inibizione e, incurante di ogni cautela, si avvicinava lentamente alla fanciulla; si accovacciava ai suoi piedi, accettava di essere da lei dissetato, posava il corno sul suo grembo, in completo abbandono. A questo punto la fanciulla afferrava il corno con la mano e... il gioco era fatto. Il liocorno diventava mite e inoffensivo come un agnellino, incapace di qualsiasi reazione: intervenivano così i cacciatori che lo uccidevano. 
   Il liocorno quindi come metafora della verginità, della purezza e della castità; ma anche della fierezza, dello spirito indomito, della nobiltà d'animo. E poi ancora come simbolo di forza, di orgoglio, lealtà e di ogni altra virtù virile, non ultima il valor militare. 
L'uomo-liocorno è quindi un guerriero solitario e intrepido, un cavaliere senza macchia e senza paura: abbandona le sue difese solo tra le braccia di una donna, e i soli lacci e tranelli che può temere sono quelli dell'amore. A ben vedere, ma non è questa la sede, si potrebbe azzardare una interpretazione di tipo psicanalitico, con implicazioni di carattere più esplicitamente erotico: il lungo corno di forma inequivocabilmente fallica, il fatto che il liocorno ami posarlo sul grembo della fanciulla, il fatto che questa lo stringa inducendolo alla quiete...
   Il liocorno è costantemente presente nell'iconografia farnesiana, fin dalle origini. Effigiava i cimieri dei primi guerrieri Farnese, e fu scelto come impresa da Ranuccio il Vecchio che lo volle scolpito nel proprio sepolcro (realizzato nel 1449 da Isaia da Pisa) sull'isola Bisentina, nel lago di Bolsena. Lo si ritrova affrescato nei palazzi Farnese di Gradoli e di Carbognano; in scultura nella Fontana dei Fiumi a Caprarola e in quella di Piazza del Duomo a Ronciglione. E' presente negli stemmi più antichi: in bassorilievo su una lastra lapidea collocata sulla facciata dei palazzi di famiglia a Farnese e a Viterbo; così pure sulle torri civiche di Capodimonte, Marta e Ischia di Castro e sul maschio della Rocca Farnese di Valentano. E senza dimenticare l'appartamento di Paolo III in Castel Sant'Angelo e il Palazzo Farnese di Roma dove il liocorno è raffigurato, insieme alla fanciulla, rispettivamente da Perin del Vaga e dal Domenichino. 
   Nella camera di Giulia a Carbognano, che potrebbe costituire il primo esempio di committenza farnesiana in cui il liocorno compare associato alla vergine, la rappresentazione non è statica, ma procede per immagini: come in un racconto. Certo questo racconto non difetta di ambiguità, ma l'ambiguità è già tutta insita nel soggetto. Se la fanciulla è infatti simbolo di purezza d'animo, innocenza e sensibilità, perché si presta all'inganno ordito dai cacciatori? perché tradisce così platealmente l'affidamento che il liocorno ripone in lei, al punto di addormentarsi sul suo grembo? Non ci si può proprio fidare di nessuno a questo mondo! 
Così pure, se il liocorno è simbolo di castità e purezza, tanto da avvicinare soltanto chi, come la vergine, è in questo a lui simile, cosa sono tutti quei sfregamenti, sbaciucchiamenti e toccamenti affrescati nelle lunette di Carbognano? …lui che con le zampe le sale in grembo, lei che gli tira maliziosamente la barba, che si denuda e gli offre il seno, loro che si baciano sulla bocca... Ambiguità certo. Del resto nel fregio le immagini della fanciulla-Giulia sono sempre doppie, anche se mai del tutto speculari.
   Proviamo allora a capirci qualcosa: se la fanciulla è Giulia, il liocorno non può che essere casa Farnese, come è reso evidente dal giglio talvolta effigiato sulle gualdrappe che il liocorno porta. Cosa vuol dirci Giulia? che nessuno è mai stato così importante per lei come la sua famiglia: non i due mariti; non il papa Alessandro VI suo amante; non la stessa sua figlia Laura. Solo la famiglia di origine per lei ha contato. Quella famiglia che lei ha nutrito e fatto crescere (come la fanciulla che allatta il liocorno e gli porge da bere con una ciotola), come si fa con un bambino; quella famiglia che talvolta l'ha dilettata (la fanciulla che afferra la barba del liocorno), ma che più spesso l'ha prevaricata imponendole le proprie scelte (il liocorno rampante che sovrasta, la fanciulla); quella famiglia che Giulia ha amato di un amore morboso e quasi ossessivo, ben al di là di una pur plausibile devozione filiale (la fanciulla che bacia sulla bocca i1 liocorno); quella famiglia per la quale non ha esitato a spogliarsi e ad offrire se stessa alle brame altrui (la fanciulla che denuda e mostra i suoi floridi seni).
   Ben si comprende, quindi, il senso della fioritura di stemmi che anche in questa stanza ritroviamo e che richiamano quelli già visti nel salone. Così pure ben si inseriscono le cornucopie traboccanti di ogni delizia che riempiono alcune lunette. Anche gli uccelli - per lo più trampolieri e con tanto di serpentello nel becco - che in gran copia scortano Giulia, il liocorno, le cornucopie e gli stemmi, ci sono ormai familiari. Il loro significato simbolico richiama quello che abbiamo già descritto per il salone. Sono i guardiani della fortuna di casa Farnese. 

 

Della Fenice ed altre Allegorie


   Ci sorprendono piuttosto allegorie del tutto nuove, anche se non inedite. In primo luogo la fenice, altro animale fantastico di universale valore simbolico. La fenice è nota per la soavità del canto che eleva in punto di morte e per il fatto di rinascere dalle sue ceneri. Secondo la tradizione quando l'animale sente di dover morire (il che avviene ogni cinquecento anni) allora raduna una catasta di rami secchi, ma non per costruire un nido, bensì per realizzare un'ara. Si pone quindi su di essa e sbattendo forte le ali sulla legna provoca la scintilla che incendia l'ara e con essa brucia, elevando il suo canto, finché non rimane che cenere. Da quella cenere tuttavia la fenice si rigenera. Animale quanto mai straordinario quindi, e autorigenerante: non ha bisogno di accoppiarsi per perpetuare la sua specie. 
   La fenice ben rappresenta l'itinerario umano e spirituale percorso da Giulia: come quella nel fuoco si rigenera così Giulia passata attraverso il fuoco della passione è morta e rinata, diventando una donna nuova. Non è stato facile: ha dovuto lottare con sé stessa; ha dovuto comprimere la propria indole portata allo slancio passionale, all'esaltazione emotiva; ma ci è riuscita: ora Giulia è realmente un'altra donna. Questo, ci sembra, sia anche il significato dell'altra icona simbolica che troviamo nelle lunette: la pressa che schiaccia 1e fiamme. Sono fiamme vive e ribelli quelle che la pressa cerca di soffocare; che mal si prestano ad essere compresse: contorte e invadenti sembrano quasi cercare una via di fuga, per tornare a risplendere. E' l'anima di Giulia che soffre e si dilania nelle doglie del cambiamento e della rinascita.
Ma le simbologie non finiscono qui: che dire, ad esempio, della lunetta in cui Giulia posa il suo piede su una tartaruga, quasi a volerla calpestare? viene spontaneo il riferimento alla iconografia mariana con la Vergine che schiaccia la testa del serpente, rappresentazione di satana e quindi del male e del peccato. Noi però intendiamo sottrarci alla considerazione di possibili significati di natura teologica e religiosa (che amplierebbero oltremodo queste note), che pure sono stati autorevolmente evocati nella interpretazione del mito della fanciulla con il liocorno, e permanere in un ambito simbolico di tipo profano. 
   Il nostro riferimento potrebbe essere Fidia e una sua scultura di Afrodite in cui la dea dell'amore è rappresentata nella posa indicata. Anche in questo caso il significato ci sembra non privo di ambiguità: secondo una certa interpretazione Venere sottomette con il piede la tartaruga, considerata simbolo della lussuria e della corporeità, perché vuole indicarci la via dell'elevazione e dell'amore spirituale… Ma Venere non è la dea dell'amore fisico e sensuale? e allora non sarà che la lascivia è una sorta di piedistallo su cui si fonda il suo potere? Riteniamo comunque più probabile che Giulia con quella rappresentazione abbia voluto significare, conformemente all'immagine della pressa che schiaccia le fiamme, il suo ritrovato potere di dominare e sottomettere la propria natura e le proprie passioni.
   Nella camera di Giulia il racconto per simboli si arricchisce di altri tasselli. Troviamo ad esempio due "mascheroni", due volti virili maturi nei quali barba, baffi e capelli si propagano in tutta la lunetta sotto forma vegetale: sorta di uomini che si stanno trasformando in pianta o alberi dalle fattezze umane. Questo strano soggetto è messo in relazione con i liocorni: appare infatti rigoglioso e vincente in una lunetta in cui due liocorni sembrano ignorarlo; sottomesso e sofferente nell'altra lunetta in cui i liocorni sembrano prendere il sopravvento e lo opprimono con le loro zampe anteriori. Come interpretare queste immagini? Si tratta, con tutta probabilità, di un ulteriore riferimento alla virtù (rappresentata dal liocorno) che vince l'istinto bruto e le incontrollate pulsioni che la natura scatena nell'animo umano. 
A noi piace però immaginare che nei due uomini brutali e selvaggi Giulia abbia voluto effigiare i suoi due mariti: uno sberleffo e insieme una recriminazione rispetto a due uomini dominati dalla sensualità che non hanno saputo o voluto capire i moti profondi del suo animo di donna sensibile e sottomessa.
   L'arazzo che abbiamo intrecciato si arricchisce (o forse si aggroviglia) di nuovi nodi e colori se, infine, consideriamo i cartigli disseminati nel fregio e nella volta. Poche lapidarie parole, sillabate e talvolta sincopate, che dovrebbero essere la chiave di lettura dei cicli figurativi, ma che talvolta ci aprono nuovi orizzonti di riflessione e di indagine. Si tratta di parole talvolta isolate, non solo da altre parole ma da ogni possibile contesto, che pesano concettualmente portando una dote di ipotesi irrisolte; oppure di parole abbinate che enfatizzano il significante; o ancora di brevi frasi che hanno la forza e l'espressività di un motto: CI TO PFI CIET (sta per "cito perficiet": presto si compirà); HOMO (uomo); DATUR (è concesso); EST AURUM (è oro); AD SUUM (al proprio); OPERIBUS (con le opere); M.C.S. (sigla incomprensibile); REQUIEVI (ho trovato pace); IN IGNIM REQUIEVI (nel fuoco ho trovato pace, sollievo). Ci piace pensare che almeno la prima e l'ultima frase siano citazioni di autori classici o magari dalle sacre scritture: non siamo tuttavia riusciti a risalire alle possibili fonti.

 

Nel bagno di Giulia


   Ma, forse, la sorpresa più straordinaria del nido segreto di Giulia, come abbiamo voluto definire la Rocca di Carbognano, è un'altra ed è chiusa in una torre circolare nel versante nord del castello: si tratta di una stanza da bagno. La cosa, vista dai nostri lidi, potrebbe apparire del tutto ovvia, ma non è così. Basterebbe soltanto ricordare che - non secoli fa - ma fino agli anni cinquanta del secolo scorso (… cioè fino a qualche decina di anni fa) nessuna casa nei nostri piccoli centri era dotata di una stanza da bagno. Se poi andiamo a ritroso nel tempo di mezzo millennio... 
   Senza volerci inoltrare in questioni di carattere socio-igienico-economico diremo solo che al tempo di Giulia vi era un concetto di cura dell'igiene ben diverso dal nostro, e non solo con riferimento alle classi popolari (il che può apparire plausibile considerando il basso tenore di vita in cui erano costrette) ma anche rispetto alle classi nobili e aristocratiche, il che può far riflettere. A Roma (ma la situazione non era diversa nelle altre grandi città italiane) le dimore con stanza da bagno erano pochissime. Si trattava, insomma, di una delizia riservata ai papi e a pochi altri aristocratici. 
   Il bagno di Giulia, chiamato comunemente "stufa" (o "cappella"), consisteva in una stanza circolare con volta a piccola cupola e finestra. La vasca, dove Giulia amava immergersi, era piuttosto grande e in grado di accogliere più persone. Un vero e proprio impianto idraulico, attraverso apposite tubazioni, vi convogliava acqua calda; non solo, nella stanza poteva essere immesso, attraverso un buco nel pavimento, vapore caldo grazie ad apposite stufe: Giulia poteva quindi disporre di una vera e propria sauna.
   La volta a cupola della stanza è affrescata con gli stessi soggetti della camera da letto, anche se il racconto appare pervaso da minore intensità drammatica e l'approccio è più naturalistico. Anche la mano dell'artista ci sembra diversa. Ecco quindi la vergine che disseta il liocorno; ecco ancora i liocorni contrapposti al mascherone; così pure ritornano i motivi della fenice e della pressa che schiaccia le fiamme.
   Di Giulia oggi noi non possediamo alcun ritratto certo. Si è parlato nei suoi confronti di damnatio memoriae, essendo il suo un ricordo scomodo, e comunque non più utile allorché casa Farnese raggiunse i propri obiettivi. Non sappiamo neanche dove sia stato sepolto il suo corpo: non sull'isola Bisentina come lei aveva richiesto nel suo testamento. Ci rimane però il suo castello, la Rocca di Carbognano, dove tutto, ma proprio tutto, come in un gioco di specchi contrapposti parla di lei e rimanda a lei.
   E' la sua conquista. O forse la sua inconsapevole vendetta..

 

 
Candelabra con frutta
 
Cornucopia
 

Fanciulla che abbraccia il liocorno

 
Fanciulla che accoglie in grembo il liocorno
 
Fanciulla che allatta il liocorno
 
Fanciulla che disseta il liocorno
 
Fanciulla con seno scoperto e liocorno
 
Fanciulla con veste gigliata che disseta il liocorno
 
Fanciulla, liocorno e pressa schiaccia le fiamme
 
Il levriero, simbolo di fedeltà
 
Il Liocorno, simbolo farnesiano delle origini
 
Levriero affrescato sul soffitto della camera
 
Liocorni con gualdrappa gigliata e maschera
 
Liocorno sulla volta della camera
 
Lunetta con fanciulla che bacia il liocorno