Mappa satellitare delle Tombe dipinte di
Tarquinia. Clicca sull'immagine per vedere una
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tombe dipinte

La Tarquinia etrusca esercita un fascino
particolare nel pur vasto panorama delle
testimonianze rimaste dell'antico popolo tirrenico.
Salvo rare eccezioni (Chiusi, Cerveteri, Vulci),
soltanto a Tarquinia sono state rinvenute, in numero
così cospicuo, tombe dalle pareti dipinte che
testimoniano della concezione che gli Etruschi
avevano dell'Aldilà e dei costumi che
caratterizzavano la loro vita quotidiana.
La città sorse fra il X e l'VIII secolo a.C., nel periodo cosiddetto "villanoviano",
connotato da tombe a cremazione, e cioè da pozzetti
dentro cui veniva collocato un recipiente contenente
ossa e ceneri del cadavere cremato. Durante il VII
secolo a.C. si realizza in Etruria il passaggio
graduale dalle tombe a pozzetto degli incineratori
alle tombe a fossa degli inumatori, le fosse si
trasformano via via in camere sepolcrali sempre più
vaste, più ornate e ricche di suppellettili. Si
tratta di suppellettili d'importazione o comunque
fabbricate con uno stile che risente dell'influenza
culturale ed artistica dei popoli orientali del
Mediterraneo, tanto che si usa definire questo
periodo "orientalizzante". Dal VI secolo a.C.
iniziano a comparire le prime tombe dipinte di
Tarquinia cui sono affidate, a causa della perdita
delle testimonianze dirette e scritte della civiltà
etrusca, molte delle possibilità di decifrare le
attività, gli usi, i desideri ed i timori di questo
antico popolo. I temi ricorrenti delle pitture
funebri tarquiniesi sono: banchetti, musiche, danze,
giochi e più tardi, quando la civiltà etrusca era in
declino, mostri demoniaci. E' comunque costante la
rappresentazione del trapasso come un vero e proprio
itinerario, un passaggio verso un nuovo mondo, da
compiere a piedi o a cavallo, o su un carro, ovvero
attraversando una palude o un fiume.
Per cercare di comprendere il significato che il monumento tombale
assumeva per gli Etruschi basti pensare che, dopo
aver deposto il cadavere essi chiudevano
accuratamente il sepolcro rendendo così
inaccessibile ed invisibile ogni preziosità che
l'adornava, quasi a far dimenticare il morto ai
viventi ed al contrario a far ricordare al morto la
vita terrena. Non a caso, guardando proprio in
questa prospettiva, il tema più diffuso delle
pitture tarquiniesi che datano dal VI al V secolo
a.C. è il banchetto: uomini e donne vestite
lussuosamente, ricche suppellettili, servitù,
accompagnamento di musica, danze e giochi, insomma
la possibilità per il morto di rammentare il mondo
dei viventi.
Altro tema ricorrente delle pitture tombali di
Tarquinia è quello dell'agone, ovvero la
rappresentazione di gare e giochi che dovrebbero
mostrare la vita nel suo aspetto di combattimento,
di guerra e di lotta, fino all'estremo degli
spettacoli gladiatorii all'ultimo sangue, una
pratica che sembra inventata proprio dagli Etruschi
e che rappresenterebbe la vita nella sua
pericolosità, nella sua precarietà e nel suo
realizzarsi contro la morte. Quando, verso il III
secolo a.C. il tramonto della loro civiltà apparve
inarrestabile e la disperazione si impadronì degli
Etruschi, il sottosuolo di Tarquinia si riempì di
figure demoniache sconvolgenti: creature dalle carni
bluastre, dèmoni che traghettano i defunti, serpenti
barbati, mostri che ghermiscono le loro prede.
Attualmente le tombe di Tarquinia visitabili ammontano a qualche decina,
delle migliaia individuate e soltanto alcune sono
veramente visitabili dal normale turista, che può
osservarle attraverso cristalli protettivi. Esistono
in pratica due gruppi di tombe visitabili: un primo
gruppo (diviso in sottogruppi di tombe che vengono
aperte a rotazione) è situato negli stessi luoghi di
rinvenimento, principalmente la necropoli di
Monterozzi. Il secondo è visibile presso il Museo
Nazionale collocato nel Palazzo Vitelleschi. |